IL TRIBUNALE Nella causa iscritta al n. 5997/2006 R.G. promossa da V.F. con l'avv. Giorgio Bisagna, ricorrente, contro Poste Italiane S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Castellese, convenuto. Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 28 maggio 2008. O s s e r v a Con ricorso depositato il 23 novembre 2006, parte ricorrente V. F. conveniva in giudizio le Poste Italiane S.p.A., esponendo: di essere dipendente della societa' convenuta con contratto a tempo indeterminato, con qualifica A2 quadro, in servizio presso l'ex CUAS di Palermo; di essere tutore, giusto decreto della Pretura di Palermo del 17 ottobre 1989, del proprio zio sig. D.G. nato a Palermo il 16 ottobre 1931, affidatogli dalla di lui madre con testamento pubblico e con lui convivente; che il D. era stato riconosciuto portatore di handicap grave; di avere, pertanto, successivamente usufruito dei tre giorni mensili di permesso retribuito di cui all'art. 33 della legge n. 104 del 1992 sin dal 1993; di avere richiesto, in data 18 dicembre 2002, di usufruire del congedo straordinario previsto dagli artt. 42 e 45 del d.lgs. n. 151 del 2001; che la propria domanda era stata rigettata dalla societa' convenuta con nota 22 gennaio 2003 e successivamente reiterata e nuovamente rigettata, con la motivazione che il ricorrente non rientra tra i soggetti previsti dalle norme richiamate per la concessione del congedo, poiche' la normativa limita il beneficio richiesto in capo ai genitori ovvero, in caso di loro scomparsa (o totale inabilita' a seguito sentenza della Corte costituzionale n. 233/2005), ai fratelli e sorelle conviventi del portatore di handicap, ovvero ai genitori adottivi o affidatari; Il ricorrente rileva di essere l'unico soggetto in grado di prestare assistenza al sig. D., poiche' unico parente con lui convivente, cui lo stesso era stato affidato dalla di lui madre (deceduta) con testamento e del quale era stato nominato tutore in seguito al decesso della medesima. Sulla non manifesta infondatezza. Il d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 («Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53») all'art. 42, comma 5, prevede: «La lavoratrice madre o, in alternativa il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravita' di cui all'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell'art. 4, comma 1, della legge medesima e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all'art. 33, comma 1, del presente testo unico e all'art. 33, commi 2 e 3 della d.lgs. 5 febbraio 1992, n. 104, per l'assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'art. 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennita' corrispondente all'ultima retribuzione e il periodo medesimo e' coperto da contribuzione figurativa....». L'art. 45 del medesimo testo normativo estende il beneficio previsto dall'art. 42 cit. anche in caso di adozione e di affidamento di soggetti con handicap in situazione di gravita'. La Corte costituzionale, con sentenza n. 233 del 16 giugno 2005, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma dell'art. 42 cit., nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con il soggetto portatore di handicap in situazione di gravita' a fruire del congedo ivi indicato, nell'ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio handicappato perche' totalmente inabili. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza n. 158 del 18 aprile 2007, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma dell'art. 42 cit., nella parte in cui non prevede, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma, anche per il coniuge convivente con soggetto portatore di handicap in situazione di gravita' il diritto a fruire del congedo ivi indicato. La citata disposizione era gia' prevista dalla legge 8 marzo 2000, n. 53 («Disposizioni per il sostegno della maternita' e della paternita', per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta'»), all'art. 4, comma 4-bis, mentre il secondo comma del medesimo articolo prevede: «I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non puo' svolgere alcun tipo di attivita' lavorativa. Il congedo non e' computato nell'anzianita' di servizio ne' ai fini previdenziali; il lavoratore puo' procedere al riscatto ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.». Ritiene questo giudicante che l'art. 42, quinto comma, d.lgs. n. 151/2001 presenti profili di contrasto con la Costituzione, in particolare con gli artt. 2, 3, 29 e 32. La ratio legis del congedo straordinario retribuito e coperto da contribuzione figurativa, pur essendo la relativa norma sistematicamente collocata nell'ambito del corpo normativo in materia di tutela e sostegno della maternita' e paternita' va rinvenuta nel preminente interesse «di assicurare in via prioritaria la continuita' nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall'eta' e dalla condizione di figlio dell'assistito» (cfr. Corte cost., sent. n. 158/2007). Tale disposizione si pone, anzi, nel contesto della normativa a tutela delle persone handicappate, e, in particolare, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», la quale ha come finalita' la garanzia del pieno rispetto della dignita' umana e dei diritti di liberta' e di autonomia della persona handicappata, la promozione della sua integrazione nella famiglia nella scuola, nel lavoro e nella societa'; la prevenzione e rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettivita', nonche' la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; il perseguimento del recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, l'assicurazione di servizi e di prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonche' la tutela giuridica ed economica della persona handicappata, la predisposizione di interventi volti a superare stati, di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata (cfr. art. 1, legge n. 104/1992). Che la ratio legis dell'art. 42, quinto comma, d.lgs. n. 151/2001 si inscriva nel piu' ampio disegno di tutela della salute psico-fisica del disabile e' stato evidenziato dalla Corte costituzionale anche nella menzionata sentenza 16 giugno 2005, n. 233,1a quale ha ritenuto che tale norma e' diretta a «favorire l'assistenza al soggetto con handicap grave mediante la previsione del diritto ad un congedo straordinario - remunerato in misura corrispondente all'ultima retribuzione e coperto da contribuzione figurativa - che, all'evidente fine di assicurare continuita' nelle cure e nell'assistenza ed evitare vuoti pregiudizievoli alla salute psico-fisica del soggetto diversamente abile, e' riconosciuto non solo in capo alla lavoratrice madre o in alternativa al lavoratore padre ma anche, dopo la loro scomparsa, a favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi»; la Corte ha sottolineato che i fattori di recupero e di superamento dell'emarginazione dei soggetti deboli sono rappresentati non solo dalle pratiche di cura e di riabilitazione, ma anche dal pieno ed effettivo inserimento di tali soggetti anzitutto nella famiglia: «La tutela della salute psico-fisica del disabile, costituente la finalita' perseguita dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che la norma in esame concorre ad attuare, postula anche l'adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie, il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap. Tra tali interventi si inscrive il diritto al congedo straordinario in questione, il quale tuttavia rimane privo di concreta attuazione proprio in situazioni che necessitano di un piu' incisivo e adeguato sostegno.». Alla luce di tali finalita' di tutela dell'istituto del congedo straordinario retribuito, l'inapplicabilita' dell'art. 42, quinto comma, d.lgs. n. 151/2001 al prossimo congiunto tutore e affidatario convivente di soggetto gravemente handicappato e, pertanto, il diverso trattamento del tutore, che faccia parte del nucleo familiare, sia pure allargato, del disabile e che sia affidatario dello stesso anche in concreto, convivendo con il medesimo e occupandosi quindi della sua assistenza, in caso di scomparsa dei genitori o di loro totale inabilita', rispetto al fratello od alla sorella conviventi - che ne hanno invece diritto in caso di scomparsa o di totale inabilita' dei genitori - non ha, a parere di questo giudicante, una ragionevole giustificazione. La famiglia, infatti, e' la «societa' naturale fondata sul matrimonio» (art. 29, Cost.); di detta societa' naturale fanno parte anche i componenti della famiglia allargata e cioe' i parenti entro il quarto grado, e a maggior ragione quelli entro il terzo grado come lo zio, il cui legame reciproco ingenera vincoli di solidarieta' riconosciuti dall'ordinamento. I parenti entro il terzo grado, infatti, ad esempio, rientrano nella nozione di «prossimi congiunti», cui si fa riferimento ad esempio per escludere la punibilita' dei delitti di favoreggiamento (art. 307, quarto comma, c.p.) e dei delitti contro il patrimonio (art. 649 c.p.), ovvero ai fini della facolta' di astenersi dal deporre (art. 199 c.p.c.), o che hanno rilievo nella disciplina dell'incompatibilita' del giudice, laddove il giudice deve astenersi quando sia parente fino al quarto grado di una delle parti o dei difensori oppure ne sia tutore. Ancor piu' significativa, sotto questo profilo, e' la disciplina in tema di adozione e di affidamento dei minori, laddove la legge dispone che vada segnalato obbligatoriamente all'autorita' lo stato di abbandono di minori che siano accolti stabilmente nella propria abitazione dai parenti oltre il quarto grado, non sussistendo detto obbligo quando l'accoglienza sia effettuata dai parenti entro il quarto grado; oltre ai genitori, anche i parenti entro il quarto grado vanno sentiti dal Tribunale dei minorenni nel procedimento volto alla dichiarazione di adattabilita' e ad essi il Tribunale dei minorenni puo' impartire prescrizioni idonee a garantire l'assistenza morale, il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del minore; la dichiarazione dello stato di adottabilita' del minore puo' essere emessa solo qualora essi non siano disponibili a ovviare ad una situazione di mancanza di assistenza morale e materiale del minore; essi sono legittimati a proporre opposizione contro la dichiarazione dello stato di adattabilita' ed impugnare la sentenza pronunciata in seguito all'opposizione. Tutte le norme citate sono norme che non operano alcuna distinzione tra i parenti entro un certo grado, essendo finalizzate alla tutela di un interesse diverso e superiore rispetto a quello del parente. Certamente ragionevoli, infatti, sono le differenziazioni che il legislatore fa nel disciplinare i diritti e obblighi dei parenti in relazione al grado di parentela, perche' deve presumersi che con l'aumentare del grado di parentela si affievolisca il vincolo di solidarieta', quando si tratta di disciplinare diritti e obblighi direttamente discendenti da questo (successione, alimenti, ecc). Non altrettanto, tuttavia, puo' dirsi quando la norma presupponga una concreta situazione solidaristica, come la convivenza o l'assistenza, poiche' in tal caso la presunzione viene meno, soprattutto quando, come in questo caso, la ratio normativa non possa rinvenirsi in un vantaggio concesso con la finalita' di favorire il beneficiario, bensi' nella tutela di un interesse diverso e superiore, quale la tutela dei diritti del congiunto portatore di handicap. Ed invero, l'impossibilita' per il parente convivente di ottenere il congedo retribuito, finalizzato all'assistenza dell'handicappato, si traduce non nella perdita di un vantaggio per il parente, ma nella concreta impossibilita' da parte di quest'ultimo di garantire l'assistenza al disabile. E' quindi tra il disabile che sia assistito da un genitore o, in mancanza, da un fratello o da una sorella conviventi e quello che invece lo sia da un altro parente o da un tutore convivente che deve operarsi il confronto al fine di stabilire se la norma in parola violi il principio di uguaglianza sostanziale stabilito dall'art. 3 Cost. Sotto questo profilo, ad avviso del giudicante, la norma opera una ingiustificata disparita' di trattamento che ne fa derivare l'illegittimita' costituzionale. Ed invero, poiche' indubbiamente lo zio e' un membro della famiglia, qualora il suo congiunto convivente sia affetto da handicap grave, non trova alcuna ragionevole giustificazione che la tutela, giuridica ed economica, ed, in particolare, il diritto alla cura (cfr. il citato art. 1, legge n. 104/1992) di quest'ultimo che deve passare attraverso il sostegno, anche economico, della famiglia, non possa essere attuata con lo strumento, viceversa previsto a favore dei genitori e in mancanza del fratello o della sorella, del congedo straordinario retribuito. Oltre che il congiunto handicappato, e' pure la famiglia nel suo complesso a ricevere una ingiustificata minore tutela rispetto all'ipotesi contemplata dalla legge, ravvisandosi, nel primo caso, necessita' pari di garantire che il lavoratore mantenga la retribuzione nel periodo di congedo straordinario per prestare assistenza al congiunto, essendo lo stesso verosimilmente come nella fattispecie per cui e' causa - l'unico in grado di garantire il mantenimento economico dell'handicappato. Si ravvisano quindi profili di illegittimita' costituzionale per violazione degli art. 3 e 29 Cost. Il congiunto convivente di soggetto gravemente handicappato, ove parente oltre il secondo grado - come nel caso di specie - non puo' usufruire del congedo ex art. 4, comma 2, legge n. 53/2000, neppure senza alcuna retribuzione, con la conseguenza che - senza alcuna ragione che giustifichi tale disparita' di trattamento, non e' posto in condizione di adempiere al dovere solidaristico, previsto dall'art. 2 Cost., di assistenza e cura di quest'ultimo, nello stesso modo del genitore, del fratello o della sorella, non potendo avvalersi neppure del congedo senza ricevere retribuzione. La cura e la salute dell'handicappato, non potendo avvalersi del supporto economico del parente entro il quarto grado convivente, ricevono, inoltre, come sopra accennato, minor tutela rispetto alla condizione del soggetto handicappato, il cui genitore, fratello o sorella, possono assicurargli, attraverso l'istituto del congedo straordinario retribuito, adeguata assistenza e cura. Sono quindi altresi' ravvisabili profili di violazione degli artt. 3, 2 e 32 della Costituzione. Argomentazioni analoghe valgono per la posizione del tutore convivente del minore o dell'interdetto portatore di handicap, che concretamente si occupa dell'assistenza morale e materiale del soggetto sottoposto alla sua tutela. Ed invero, la figura del tutore e' sostitutiva di quella dei genitori, in particolare in relazione al minorenne, ma anche per il maggiorenne, tanto che tra le persone preferite nella scelta del tutore dell'interdetto vi e' la persona designata dal genitore superstite nel testamento (come nel caso di specie). Il tutore, inoltre, e' obbligato per legge ad avere la cura della persona del minore e dell'interdetto (art. 357 e 424 c.c.). Nell'ambito, poi, della disciplina dell'adozione dei minori i poteri del tutore vengono esercitati da un istituto di assistenza o a una famiglia affidataria, sulla base del diritto del minore di essere educato in ambito familiare, nel proprio o in caso di impossibilita' in quello di altra famiglia affidataria. Se l'esigenza di educazione e cura nell'ambito della propria famiglia e' assolutamente prioritario nel caso di minori, essa, come piu' sopra precisato, e' pure presente nel caso di maggiorenni affetti da situazione di handicap grave e addirittura in stato di assoluta incapacita' di intendere e di volere - come nel caso di specie - di talche', quando la famiglia convivente sia costituita dal tutore, che materialmente assiste l'incapace, non si vede alcuna ragione per differenziare la posizione di costui da quella del genitore (del quale fa le veci) anche in relazione alla concessione del congedo finalizzato all'assistenza del soggetto sottoposto a tutela ed affetto da situazione di handicap grave. Va, infine, rilevato - anche se non immediatamente rilevante nella fattispecie ma tale da evidenziare una complessiva inadeguatezza della normativa regolante l'istituto, quanto alla limitazione dei soggetti «beneficiari» - che, quindi, non apparirebbe giustificata neppure l'estensione della disciplina dell'art. 42 cit. operata dall'art. 45 del medesimo d.lgs. n. 151 del 2001 solo nei confronti degli adottanti e degli affidatari, e non invece anche dei parenti entro il quarto grado. Il minore affetto da handicap grave verrebbe a trovarsi in una ingiustificata situazione di maggior favore ove adottato o dato in affidamento rispetto a quella in cui si troverebbe se lasciato nell'ambito della propria famiglia di origine perche' adeguatamente educato e curato da un parente entro il quarto grado, e cio' benche' l'art. 1 della legge n. 184 del 1983 gli dia diritto ad essere educato nell'ambito della propria famiglia. Se, infatti, egli fosse lasciato alle cure di un parente diverso dai genitori o (in caso di mancanza o totale inabilita' di questi) dai fratelli o sorelle, non potrebbe essere convenientemente assistito dal medesimo, che non potrebbe usufruire del congedo retribuito e, se parente oltre il secondo grado, nemmeno di quello non retribuito. Appare pertanto tutt'altro che manifestamente infondato il sospetto che si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 32 della Costituzione l'art. 42, quinto comma, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non ne prevede l'applicabilita', in caso di mancanza o totale inabilita' dei genitori, al congiunto parente entro il quarto grado convivente di soggetto con handicap in situazione di gravita' e al tutore convivente del minore o dell'interdetto che sia portatore di handicap in situazione di gravita'. Rilevanza della questione. La questione e' anche rilevante nel presente processo: non paiono infatti contestati da parte convenuta i presupposti relativi alla gravita' dell'handicap del D. certificato ai sensi dell'art. 4, legge n. 104/1992, nonche' la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 3, comma 3, legge n. 142/1992, come risulta dalla produzione di parte ricorrente; il congedo richiesto e' stato, infatti, negato unicamente in forza dell'attuale portata della norma a e della limitata sfera applicativa della stessa. L'accoglimento della questione di illegittimita' costituzionale, come sopra sollevata, potrebbe, pertanto, consentire al ricorrente di beneficiare del congedo da lui richiesto.